Archivio mensile 22 Febbraio 2022

DiMagnus

Chirurgia estetica: la dieta giusta dopo l’intervento

A seguito di un intervento di chirurgia estetica, bisogna limitare l’attività fisica e seguire tutte le indicazioni del chirurgo. Oltre a ciò, può essere una buona idea anche iniziare una dieta per aiutare a ridurre il dolore e, di conseguenza, l’infiammazione. Questo può risultare particolarmente utile nel caso che ci si sia sottoposti ad un intervento per l’aggiunta di protesi anatomiche per il seno. Attenzione: lo scopo di questo regime alimentare non è quello del dimagrimento e della perdita di peso: l’obiettivo è quello di cercare di eliminare le tossine presenti nel corpo, sostituendole con nutrienti sani permettendo di avere una più rapida ripresa.

D’altronde, una rinnovata attenzione all’alimentazione è perfettamente in linea con i passi intrapresi per migliorare il proprio aspetto esteriore. In questo modo, si potrà avere una nuova forma fisica accompagnata ed evidenziata dal benessere del proprio organismo.

Gli alimenti “sì” e quelli “no”

Se avete appena subito una rinoplastica oppure non vedete l’ora di poter indossare una camicetta che valorizzi le vostre nuove protesi anatomiche per il seno, la dieta da seguire sarà ricca di omega 3, di antiossidanti e fibre. Meglio bere molta acqua e concedersi un buon bicchiere di vino rosso al giorno (è un’ottima fonte di antiossidanti!). Sono consigliati i frutti rossi e l’ananas, anche in succo senza zuccheri aggiunti. Come secondo, si può sostituire la carne rossa con il pesce.

Per qualche tempo, quindi, meglio limitare (o addirittura eliminare) i cibi fritti, i dolci molto elaborati e gli alimenti ricchi di carboidrati, come il pane e la pasta, che purtroppo tendono ad infiammare l’organismo. Allo stesso modo, anche le spezie dovrebbero essere ridotte.

Un lifting, una mastoplastica additiva o una liposuzione, non importa quale è il metodo scelto per migliorare il proprio aspetto, l’importante è imparare a prendersi cura del proprio corpo.

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Italiani innamorati del sushi

Nelle nostre città più grandi sono un avvistamento decisamente consueto, ma anche in provincia aumentano sempre di più i ristoranti che servono sushi o quelli che sfruttano la forma e la preparazione di questa pietanza giapponese per inserire del simil-sushi nei propri menu. Sono due indicatori importanti che ci segnalano quanto sia amato questo piatto nel nostro paese.

Una lunga storia d’amore

Oggi diamo per scontata la presenza dei piatti di origine giapponese nei nostri supermercati e nelle nostre strade: alghe nori, zuppe di miso e mirin sono facilmente reperibili e sushi e ramen sono diventati familiari per tantissimi. Va detto però che non fu un inizio semplice: nel 1976 Minoru Hirazawa ebbe problemi a trovare gli ingredienti per cucinare nel ristorante Tokio di Roma, il primo giapponese d’Italia. Quel posto non esiste più, ma gli sopravvive Poporoya, che Hirazawa aprì l’anno successivo a Milano ed è il più longevo sushi bar della nostra nazione.

Perché piace il sushi?

Porzioni piccole, adatte anche a una pausa pranzo veloce; ingredienti freschissimi (sempre che si stia mangiando in un luogo di qualità!); versatilità dell’ambiente – si va dal molto formale all’informale a seconda del locale: è per questi motivi che sushi e sashimi, e gli altri piatti della tradizione giapponese, sono così amati dagli italiani!

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Tutti pazzi per il brunch

In un tempo non molto lontano il brunch era sconosciuto agli italiani, che al massimo conoscevano la sua versione festiva: la tradizionale colazione salata della mattina di Pasqua! Con l’arrivo del XXI secolo, questo pasto a metà strada tra pranzo leggero e colazione, invece, rinforzata, è diventato un appuntamento consueto e per moltissimi irrinunciabile.

Paste fredde? Non solo

Sono tantissimi i locali a cavallo tra il vero ristorante e il lounge bar che ogni settimana si dedicano a questa forma di ristorazione mutuata dal mondo anglosassone, tanto che sono a centinaia ormai i siti specializzati chiamati a esprimere la loro preferenza sul brunch migliore o più abbondante.

Il Covid certamente ha messo uno stop alla tradizionale maniera di gustarlo, con il buffet libero dal quale servirsi liberamente fra carni, salumi, uova cucinate in mille maniere o paste fredde – un classico italiano che ha trovato nuova vita in questa dimensione.

Tuttavia, anche nella sua versione à la carte il brunch rimane amatissimo e conquista sempre più fasce della popolazione, anche quelle un po’ più agées, che preferiscono questa maniera informale di essere conviviali senza doversi impegnare in cucina per ore e scegliendo dal menu pietanze sfiziose, per lo più servite in porzioni più moderate.

Oltre ai piatti di matrice anglosassone, fra uova, bagels e burgers, spesso il brunch è l’occasione per servire piatti della propria tradizione nazionale, rivisitati o “remixati” per l’occasione. Abbiamo già parlato delle paste fredde, ma nei locali italiani questi menu si sono arricchiti di torte salate, di insalate mutuate dalla tradizione siciliana come quelle con arance e olive, frittate, polpette (anche vegetariane)… Le idee non ci mancano!

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L’avocado, il nuovo culto italiano

Sono passati circa una quindicina d’anni da quando l’avocado è stato introdotto per la prima volta nei menu italiani, complici i tentativi di qualche ristorante milanese impegnato a provare la via dei brunch e delle colazioni salate. È stato subito amore a primo assaggio: complici anche la sua presenza nella cucina messicana, questo frutto anomalo è diventato via via sempre più amato e presente nella Penisola.

Cambiamento climatico o di gusto?

Alcuni attribuiscono il suo successo non solo al gusto cremoso che ben si inserisce in una enorme varietà di piatti, da quelli vegani agli hamburger, ma al cambiamento climatico che ha facilitato la sua coltivazione in luoghi dove un tempo non avrebbe potuto crescere.

È successo per esempio in Sicilia e in Calabria, dove in qualche caso è preferito alle tradizionali coltivazioni di agrumi. Gli imprenditori respingono gli addebiti e invece ringraziano un albero che a loro dire ha impedito la progressiva desertificazione di certi territori e che permette un consumo più etico: meno inquinamento per il trasporto, meno abbattimento di alberi per intensificare la produzione (succede in Messico e in Cile, per esempio, per far fronte alla richiesta). E il palato ringrazia.

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Bok choy, dall’Asia alle nostre cucine

Il bok choy, o pak choi, è una verdura proveniente dall’Asia che sta trovando sempre più posto anche nella nostra cucina. Nonostante sia appartenente allo stesso ordine di piante del quale fanno parte verze e cavolo nero, ha un aspetto che può ricordare una piccola bieta, e un sapore ugualmente “neutro”.

Questa caratteristica lo ha reso versatile e inseribile a una gran quantità di ricette che con i sapori asiatici hanno poco a che fare (per esempio in Vietnam o in Thailandia lo si trova aggiunto come ingrediente a spaghetti saltati o zuppe): come contorno ripassato con aglio e peperoncino, per esempio, accompagnato a funghi trifolati, come condimento per pasta e riso. Ricco di vitamina C, è ipocalorico e consigliato anche nelle diete.

Bok Choy e verza cinese, una coppia per la nostra tavola

Sugli scaffali dei supermercati capita spesso di imbattersi, oltre al bok choy, anche nella cosiddetta verza cinese. Con cespi più piccoli della verza nostrana, è non solo utilizzabile come si farebbe con quel prodotto, ma occupa anche meno spazio in frigo – utile per chi vive condividendo un appartamento (e non solo): anche in questo caso, si può utilizzare questo ingrediente nelle ricette di tutti i giorni, oppure provando ad adattare ricette orientali alla nostra dieta.

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La nuova moda dei burger vegetariani

I cambiamenti della cucina italiana si vedono anche nel banco frigo, dove iniziano a moltiplicarsi le alternative alla carne con soluzioni che vanno dalle meno gustose a quelle davvero indistinguibili dal manzo o dal vitello.

Per vegani e non solo

Fino a pochi anni fa a malapena si trovavano prodotti a base di muscolo di grano, tofu o seitan. Oggi questi sono messi pressoché in minoranza da altri prodotti, a volte a base di soia, ma più di frequente senza traccia di questo ingrediente e con risultati a livello di sapore davvero sorprendenti. Merito dell’innovazione del Beyond Burger, nato da una società statunitense che ha rivoluzionato le ricette alla base di un prodotto sempre più consumato e che deve piacere al palato oltre che al metabolismo!

Ingredienti misteriosi? Non sempre

Il Beyond Burger, il suo cugino “Impossible” (visto sempre più spesso nelle catene di fast-food) e altri analoghi hamburger che sembrano di carne ma non lo sono hanno come ingrediente base i piselli, oltre a barbabietola o rapa per dare quel colore di carne rossa. Possiamo rassicurarvi, però: il loro sapore non si sente e l’unica accortezza è evitarli solo se si è fortemente allergici. Per dare l’aspetto “grasso” che rende succulenta la carne si abbonda con gli oli: di colza, di girasole, spesso di cocco. E poi c’è un’alta percentuale di proteine, che rende il prodotto adattissimo anche a chi sta seguendo un’alimentazione a scarso o nullo contenuto di carboidrati (per esempio chi fa palestra).

Altri ingredienti sono misteriosi tanto quanto quelli della leggendaria Coca-Cola e sono alla base di una formula che vanta innumerevoli tentativi di imitazione (riconosceranno la frase i più grandicelli!): rivelarli sarebbe equivalenti a distruggere la propria geniale idea commerciale. Lo capiamo! Rimane il gusto, veramente fenomenale. Il cambiamento della nostra dieta passa anche dalle start-up.